Il contratto a chiamata o job on call viene generalmente illustrato come la bestia nera della riforma Biagi. In termini pratici lo può essere un suo impiego scriteriato ma nella realtà dei fatti non dovrebbe essere così. Ci sono stati invece diverse applicazioni con rivolti positivi per i lavoratori, veri casi di successo e visto che il nostro intento è sempre quello di parlare serenamente e obiettivamente del mondo del lavoro, ci è sembrato giusto vagliare anche questo aspetto.
Prima di tutto va sottolineato che al contratto a chiamata non si applica la disciplina del lavoro a tempo parziale né quello a tempo determinato. E’ un luogo comune piuttosto diffuso, che fa risultare una tipologia contrattuale apprezzabile come la versione peggiore del precariato. (Qui trovate una guida completa a questa tipologia di lavoro). Una nota molto positiva è il fatto che ci siano limiti temporali precisi in cui è attuabile, un’altra il fatto che il lavoratore venga incaricato del lavoro con un buon margine di anticipo e in caso di chiamata nulla riceva anche un’indennità. Ciò permette a molti lavoratori, soprattutto nel settore del Commercio, Turistico e della Ristorazione, di definire diversi impegni con altrettanti datori di lavoro e ricevere un’indennitò pari a circa il 20% nel caso in cui al momento dell’entrata in servizio il datore di lavoro rinunci alle loro prestazioni.
Ulteriore vantaggio, che veramente pochi sottolineano, è che la paga deve essere identica a quella dei pari livello e pari mansioni. Per fare un esempio pratico, un cuoco assunto per la sola stagione estiva (1° giugno – 30 settembre) percepisce per quei mesi la stessa paga e la stessa copertura contributiva del cuoco assunto a tempo indeterminato presso la stessa struttura.
Certo, non va dimenticato che questo tipo contratto, nonostante le suddette particolarità, è pur sempre un contratto di lavoro subordinato, pertanto, le parti devono rispettare la normativa di legge e di contratto collettivo applicabili, in particolare la disciplina in materia di orario di lavoro. A questo proposito trova applicazione anche la normativa prevista per il lavoro subordinato in caso di malattia professionale e infortunio se verificatisi in ragione del rapporto di lavoro (Circolare Ministeriale 4/2005).
Quello che funge da filtro all’obiettività con cui andrebbe analizzato il job on call è spesso la conoscenza imperfetta delle nuove tipologie contrattuali introdotte dalla Riforma Biagi. Da qui il collegamento fin troppo facile, sulla scia anche dell’ira personale verso lo schiavismo del XXI secolo, verso questa forma contrattuale. Ira ingiustificata, nel caso di questa tipologia contrattuale che evita al lavoratore sia la bassa paga permessa dal contatto a progetto, sia l’indennità in caso di mancata chiamata, cosa che altri contratti non prevedono affatto.
Proviamo quindi a guardare questa forma contrattuale da un altro punto di vista. Passiamo per esempio da una definizione banale e sommaria di precarietà a una definizione di possibilità di lavoro retribuito. Di questo contratto ne fanno uso per esempio alcuni pubblici esercizi (negozi, locali) in periodi di massima affluenza. Lo abbiamo visto applicare negli ultimi anni nel settore Turismo come contratto a tempo sia determinato che indeterminato e ha funzionato sotto tutti gli aspetti elencati in precedenza.
Purtroppo, e sottolineiamo il purtroppo, è una forma contrattuale che continua ad essere poco conosciuta e male interpretata. Per esempio abbiamo assistito da una parte alla risposta ministeriale nel 2004 all’interpretazione che la Federazione Italiana Pubblici Esercizi dell’art. 37 del d.lgs. n. 276/2003 aveva offerto, aprendo un’opportunità e ha certamente contribuito a invogliare sia i datori di lavoro che i lavoratori alla stipula di contratti a chiamata. Dall’altra continuiamo ad assistere a una criminalizzazione generalizzata della riforma Biagi, cosa che rende ciechi anche davanti a possibilità contrattuali obiettivamente vantaggiose per il lavoratore.