E’ questa la risposta che si è sentito dare un disoccupato, ormai stremato dalla ricerca vana di un lavoro. La risposta tutto sommato sembra una discriminazione bella e buona, per quanto a rovescio, soprattutto se viene da una ditta appaltatrice del Comune. “Non ho più soldi né lavoro posso solo rubare o morire“, così ha poi giustificato il suo tentativo di suicidio. Non essendo né ex tossicodipendente né ex delinquente, pare che di lavoro non gliene diano. Di seguito, l’incredibile vicenda come è apparta su La Repubblica di oggi.
Ma quanto è davvero ‘incredibile’ questa vicenda? Non troppo, temo.Molte province erogano contributi per l’assunzione di disabili e svantaggiati sociali. Eccoo che quindi, per lavori di fatica come la raccolta della nettezza urbana, la scappatoia per il contributo assicurato sia assumere solo ex tossicodipendenti e ex carcerati, persone quindi prive di disabilità fisiche. E’ una discriminazione nella discriminazione.
Eppure la stessa cooperativa Arcobaleno di Torino che pratica questa discriminazione tra le persone socialmente svantaggiate, afferma sul suo sito:
<< L'articolo 1 della Legge 381/91 parla chiaro, l'inserimento lavorativo è il compito essenziale delle cooperative sociali di tipo B. Non si tratta di un semplice servizio di collocamento, significa dare spazio alla dignità della persona, valorizzandone le capacità.
La Cooperativa Arcobaleno da anni persegue con impegno questo delicato obiettivo: farsi carico di individui difficilmente collocabili sul mercato produttivo e impegnarli al servizio della collettività. >>
Però non è una cooperativa qualunque: è la cooperativa che a Torino prende tra i maggiori contributi proprio per l’attuazione della Legge regionale 18/94, art. 19 “Norme di attuazione della legge 8 novembre 1991 n. 381 – Disciplina delle Cooperative Sociali “. Nella quale non si parla di discriminazioni tra svantaggiati sociali né tantomeno di criteri preferenziali per ex tossicodipendenti e ex carcerati!
____L’articolo_________________________________
TORINO – Ha sempre lavorato. Magazziniere, portinaio, aiuto cuoco, artigiano. Non è tossicodipendente. Non ha problemi di alcolismo. Non è un pregiudicato. “Sono semplicemente un uomo disperato che ha perso tutto” dice Gianni Giliberti, 39 anni, tre camicie da lavare in un borsone nero e niente altro.
Lunedì pomeriggio alle quattro gli agenti delle Volanti, agli ordini del vicequestore Michelangelo Gobbi, lo hanno trovato sul Ponte della Gran Madre. Piangeva e stava per buttarsi giù: “Mia figlia compie 18 anni e io non ho un euro per farle un regalo”. Aveva già annunciato il suicidio con un messaggio nella segreteria di Telefono Amico: “Sono arrivato alla fine. Ricevo solo porte in faccia, non reggo più. Avvisate le mie bambine”. Gli operatori hanno immediatamente chiamato la polizia. Gli agenti sono riusciti a tenerlo al telefono il tempo necessario per arrivare: “Con me sono stati pieni di umanità”. Alla fine l’hanno convinto a desistere. Gli hanno offerto un tè caldo, l’hanno accompagnato in ospedale per un controllo. Ma il giorno dopo Gianni Giliberti è di nuovo solo. Sul ponte della Gran Madre racconta la storia di un uomo normale precipitato all’inferno.
Quando è iniziata la caduta?
“Il mio grande sbaglio è stato mollare il lavoro da magazziniere. Mi ero lasciato con mia moglie. Anche lei lavorava per la stessa ditta. Non mi sembrava il caso di continuare a vederci tutti i giorni”.
Quindi?
“Ho cercato di fare l’ambulante al mercato, due anni di incertezza, ma alla fine il nuovo lavoro non ha funzionato”.
Qual è stato il passo successivo?
“L’8 ottobre sono partito per cercare fortuna a Barcellona come aiuto cuoco. Avevo 400 euro in tasca, tutto quello che mi restava. Il primo giorno ho perso il portafoglio. Il consolato mi ha prestato i soldi per tornare in Italia”.
Cosa ha fatto per cercare lavoro?
“Ho battuto in rassegna tutte le fabbriche della cintura di Torino, hanno il mio curriculum ma nessuno mi chiama”.
Altri tentativi?
“Ho cercato di inventarmi un posto da lavavetrine. Ho fatto tutti i negozi di corso Francia: qualcuno aveva accettato di pagarmi il servizio. Ma al terzo negozio i vigili urbani mi hanno bloccato. Volevano la licenza”.
Si è arreso?
“No. Mi sono presentato alla cooperativa Arcobaleno che si occupa di raccolta differenziata, ma mi hanno detto che assumono solo tossicodipendenti ed ex carcerati”.
Dove dorme?
“Per adesso mi appoggio a una pensione a quaranta chilometri da Torino. Mi fanno 30 euro per letto e cena, ma mi sto indebitando. Ho già dormito tre notti fuori”.
Solidarietà?
“Nessuna. Sono andato a chiedere aiuto al Sermig, mi hanno detto di mettermi in coda giovedì per sperare di aver un posto letto martedì. Davanti a me c’erano almeno duecento immigrati”.
Come fa a mangiare?
“Chiedo aiuto ai miei parenti, con grande vergogna. Mi figlia l’altro giorno mi ha portato delle sigarette perché ero rimasto senza. È tutto molto penoso”.
Come pensa di cavarsela?
“Ho davanti soltanto due vie d’uscita. O mi suicido o commetto un reato. Nel secondo caso denuncerò il Comune per istigazione a delinquere”.
Perché?
“Perché se tutti ti sbattono la porta in faccia non restano alternative”.
Signor Giliberti, cosa vorrebbe regalare a sua figlia?
“Un tetto. Un piccolo alloggio per passare un po’ di tempo insieme. Mi sono iscritto al bando per la casa popolare, aspetto…”.
(24 ottobre 2007, La Repubblica)