L’azienda costretta a riassumere un dipendente collocato in prepensionamento, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che lo consentiva, non è tenuta a corrispondergli le retribuzioni maturate dall’esonero alla reintegra. Lo ha stabilito la sezione lavoro della Cassazione con la sentenza 23565/2007 che ha accolto il ricorso di un’azienda di trasporti locale.
Quest’ultima, dopo aver posto legittimamente in prepensionamento un lavoratore, è stata obbligata dal giudice a reintegralo e a versare tutti gli stipendi a titolo di risarcimento del danno.
La decisione è stata impugnata di fronte ai giudici di legittimità i quali, al contrario, hanno precisato che al lavoratore licenziato sulla base di un potere di recesso previsto da una disposizione legislativa, dichiarata in seguito incostituzionale, non spetta dopo la riammissione in servizio il diritto al risarcimento del danno derivato dalla mancata percezione delle retribuzioni medio tempore maturate.
Manca infatti, spiega la Suprema corte, il «presupposto dell’imputabilità» del comportamento, con la conseguenza che se si riconoscesse il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, «si farebbe luogo ad una responsabilità oggettiva» a carico delle imprese che hanno invece operato delle scelte secondo una legge vigente.
Né si può ritenere che le retribuzioni spettino al dipendente per il fatto che il rapporto di lavoro si deve considerare non interrotto, dal momento che il lavoro subordinato è connotato dalla regola della corrispettività, in forza della quale non ci può essere retribuzione senza prestazione lavorativa.
Ne consegue che il risarcimento al lavoratore può essere riconosciuto solo a decorrere dalla nuova offerta della prestazione lavorativa.
Fonte: Il Sole 24 Ore, 24 Novembre 2007