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ATIPICI, COCOPRO E LIBERI PROFESSIONISTI: COME VINCERE L’ANSIA DA PRESTAZIONE

Scritto da: Redazione Bloglavoro 9 Febbraio 2008 – 9 Febbraio 2008 - 17:15


Un piccolo articolo di Michela Trigari su Repubblica del 7 Febbraio 2008. Magari con un po’ troppi virgolettati, ma utile per quanti passano parecchio tempo a rincorrere il lavoro e si trovano sempre in una condizione di precariato. I neretti sono di BlogLavoro.

***

Essere consapevoli che esiste anche una carriera “soggettiva” non continuativa, gestita individualmente e non dall’azienda. Cercare un nuovo lavoro già prima che scada il proprio contratto. Creare dei legami sociali sul posto di lavoro, da quelli con i colleghi a quello con il sindacato. Ecco alcuni semplici consigli per contenere l’ansia da lavoro atipico, autonomo o “dipendente” ma mascherato da collaborazione a progetto che, come dice l’ultima indagine realizzata dall’Osha (l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro), rischia di fare male alla salute. Se in passato quello della libera professione era una scelta che poteva avere anche i suoi vantaggi, ora spesso comporta uno stile di vita in cui le certezze sono poche.

Chi “sceglie” questa strada, o a questa è stato costretto dalle mutate e instabili condizioni del mercato del lavoro, deve saper reggere lo stress legato a flessibilità del lavoro, assenza di orari, frustrazioni, alti e bassi economici, oltre a parecchia concorrenza.

Senza un contratto certo nel cassetto, o senza un adeguato compenso, anche fare il medico, l’avvocato, il commercialista o il giornalista non è più tutto “rose e fiori”. Tanto che ormai anche il manager lo si finisce per fare a tempo determinato. Ecco che allora insoddisfazione, malattie psicosomatiche e senso di insicurezza su casa, famiglia e avvenire sono sempre dietro l’angolo.

L’ultimo rapporto Eurispes parla di depressione per il 36% dei lavoratori intervistati, di stati d’ansia dovuta alla preoccupazione per la poca stabilità nel lavoro per il 45%, mentre il 55% del campione lamenta dolori muscolari e mal di testa e il 59% soffre almeno qualche volta di disturbi gastro-intestinali.

“Oggi lo stress non assomiglia più a quello tradizionale che si riscontrava in ufficio fino a qualche tempo fa. Se una volta era legato a insoddisfazione, sovraccarico di lavoro o rapporti difficili con il capo, ora si parla della difficoltà di creare legami professionali stabili e di progettare una vita futura – dice Guido Sarchielli, docente di Psicologia del lavoro a Cesena (sede distaccata dell’Università di Bologna) e autore del volume-ricerca “Lavorare da precari. Effetti psico-sociali della flessibilità occupazionale”, edito dalla Fondazione Zancan di Padova –. Così l’ansia si trasforma in depressione, sconforto e rassegnazione, soprattutto nel lungo periodo, in senso di incapacità e di inadeguatezza, fino ad arrivare a toccare l’autostima. Spesso scattano dei meccanismi per cui una persona inizia a pensare che sia colpa sua se non le rinnovano il contratto, o lo fanno solo per 6 mesi o un anno”.

Che fare allora? “Esistono più strategie di difesa – continua il professor Sarchielli –. La prima è cambiare ordine di idee e non pensare solo alla carriera oggettiva, quella che si fa dentro l’azienda, ma a un tipo di carriera più soggettiva e individualista”: insomma, convincersi che “tutto fa curriculum”. “Poi bisogna prepararsi per tempo, che vuol dire iniziare a cercare un nuovo impiego già prima che scada il contratto, e infine aumentare le relazioni sociali tra colleghi. In genere i lavoratori flessibili si tengono lontani dai comuni strumenti delle politiche del lavoro presenti sul territorio, e sono poco coinvolti nelle iniziative organizzate dalle rappresentanze sindacali. Tutto ciò crea una sorta di ‘privatizzazione dei rischi sociali’ che ricade solo sulla persona o sulla famiglia, e che non aiuta”.

Ma per difendersi emotivamente dal lavoro bisogna anche sapere mantenere una vita privata propria e mettere in conto che nella vita bisogna fare dei sacrifici. Secondo Marialfonsa Fontana Sartorio, psicologa e psicoterapeuta iscritta all’Ordine della Lombardia, esistono dei piccoli trucchi da mettere in pratica nella vita di tutti i giorni per contenere l’ansia quando il lavoro non è tranquillo e non dà né sicurezza né serenità. “Innanzitutto bisogna sapersi rilassare, anche ricorrendo alle tecniche di training autogeno o di meditazione, poi non abbandonare mai il cosiddetto pensiero positivo, ritagliarsi delle valvole di sfogo e delle aree bonificate nella vita privata (come ad esempio uno sport o un hobby), mantenere dei legami sociali e affettivi il più possibile soddisfacenti e cercare di instaurare dei buoni rapporti professionali” con le persone che stanno intorno. “E’ necessario inoltre puntare sulla qualità del proprio lavoro: avere stima di se stessi e di quello che si fa, oppure compiere scelte occupazionali etiche, fa guadagnare in salute”.

“Certamente un impiego precario riduce la progettualità di vita, e questo può creare giustamente frustrazione – continua Fontana Sartorio –. Ma allora bisogna intraprendere un discorso più ampio che porti a riscoprire il senso del limite e il gusto di fare dei sacrifici per ottenere quello che si vuole. Ad esempio si può scegliere di fare un figlio pur tra mille difficoltà. I giovani di oggi, per colpe che non sono loro, sono cresciuti con l’abitudine di avere tutto, e questo ha generato in loro un falso miraggio della felicità. Restare ancorati alla realtà, anche se dura, può essere uno stimolo per rimboccarsi le maniche e ripartire. Anche un po’ di stress, a piccole dosi, può essere funzionale per una buona performance lavorativa: mantiene alta la soglia di attenzione, la reattività e la capacità di risolvere i problemi”.

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