“Lauree brevi e molto inutili” è il titolo di un articolo apparso su L’Espresso il 21 maggio, a firma di Roberta Carlini. Nell’articolo si evidenzia come solo in rari casi si ottenga un lavoro con una laurea triennale, motivo per il quale molti arrivano in seguito alla laurea magistrale e magari anche a un master.
I dati dicono infatti che l’82,9% prosegue dopo la laurea breve, conseguendo la specialistica.
Ma a cosa serve allora, materialmente, la laurea breve?
Benedetta, 25 anni e una laurea di primo livello in Comunicazione, dopo uno stage in un’azienda dolciaria di Roma ha accettato un’offerta per uno stage, questa volta retribuito, in Inghilterra. “Avevo 23 anni, in Italia ero una giovane laureata. Arrivata a Londra, la prima impressione“, ci raccontava in un commento di qualche tempo fa, “è stata disastrosa. Eravamo tutti stranieri, il lavoro era in parole povere quello di call center inbound, assistenza ai clienti italiani nel mio caso. Tutti gli altri stagisti erano più giovani di me e tutti con una laurea magistrale, la mia laurea in Inghilterra era equiparata a un corso para-universitario. Più vecchia e meno preparata, in sostanza. Ho tenuto duro e una volta concluso lo stage ho trovato il mio lavoro attuale: organizzazione eventi per una agenzia di PR tra le più famose di Parigi. Hanno contato di più gli stage e la mia conoscenza di tre lingue europee, perché il titolo di studio per fare questi lavori non è così importante, bisogna essere soprattutto capaci.”
Gli ostacoli a muoversi nel mondo del lavoro con la sola laurea breve effettivamente sono diversi. Da una parte la legge finanziaria che impedisce i contratti esterni con la sola laurea breve, dall’altra gli stessi concorsi statali che tagliano fuori la maggior parte delle lauree brevi e solo in rari casi le ritengono titoli validi di partecipazione. Non sono titoli validi neanche per l’insegnamento, mentre continuano ad esserlo, paradossalmente, alcuni diplomi di scuola superiore.
Non va meglio nel comparto privato, in cui vista l’abbondanza di laureati con magistrale, i possessori di laurea breve si trovano in coda alla lista delle preferenze. Questo potrebbe essere uno dei tanti motivi per cui decidono di proseguire. Non fosse altro che per non sentirsi più ripetere ai colloqui la famigerata domanda “Come mai non ha proseguito?” e magari accompagnata dall’occhiata del selezionatore, che tende a bollare il laureato triennale come ‘pigro’, ‘demotivato’, ‘senza ambizione’.
Sembra invece essere utile a chi ha già un impiego e vuole migliorare la sua posizione. Francesco, 33 anni, un lettore di Bloglavoro, ci scrive che dopo il diploma di ragioniere ha subito cercato lavoro, trovandolo in una multinazionale con sede a Milano. Dopo dieci anni di lavoro al terzo livello del CCNL Servizi, voleva migliorare la sua posizione, fare un po’ di carriera, smetterla con il solito lavoro sempre uguale di elaborazione paghe. Si è iscritto all’Università e ha conseguito la laurea breve in Economia e Commercio. “Intanto che stavo ancora frequentando l’università, il mio responsabile mi ha chiamato e chiesto in che ambiti mi stavo specializzando. Ha detto che era positivamente impressionato dalla mia buona volontà – studiavo alla sera – e mi ha cambiato in parte le mansioni, coinvolgendomi nella stesura dei budget. E’ stato un periodo pazzesco, lavoravo come un matto per dimostrare che ero capace di fare tutto e alla sera se non mi ero portato a casa il lavoro, dovevo studiare. Però ne è valsa la pena, con la laurea breve ho potuto richiedere l’inquadramento al primo livello e adesso spero di proseguire oltre, arrivare almeno a quadro e un giorno a dirigente. Per me le lauree brevi sono state una fortuna: se il corso fosse stato di cinque anni invece che di tre, non avrei nemmeno cominciato!“