Nel contesto italiano non esiste un’organica definizione normativa di mobbing, bensì un orientamento giurisprudenziale (vedi precedente articolo Mobbing; fissati i limiti dalla cassazione ) che utilizza dei parametri quali la durata del comportamento conflittuale, la tipologia delle azioni, il dislivello tra gli antagonisti, l’andamento delle fasi che si susseguono nonché il tipo di intento persecutorio, al fine di identificarlo.
E’ più probabile, oltre che più facilmente rinvenibile sotto un aspetto strettamente giuridico, incorrere in situazioni di dequalificazione, di trasferimenti con fini ritorsivi, di accanimento disciplinare o altre situazioni lavorative di disagio e conflitto quali lo stress occupazionale.
Cosa fare allora in caso si diventi vittime di mobbing?
Prima di tutto contattare una sede sindacale esponendo il proprio caso. Tra le più agguerrite e ferrate sul fenomeno mobbing c’è la Camera del lavoro Cgil, ma anche tanti altri sono ugualmente competenti (indirizzi nel menu di fianco, alla voce sindacati)
I documenti da raccogliere:
La documentazione deve necessariamente essere quella relativa al rapporto di lavoro (lettera di assunzione – buste paga) oltre che a tutta l’eventuale documentazione relativa a trasferimenti, modifica delle mansioni, provvedimenti disciplinari, eventualmente sostenuta da una relazione dettagliata che descriva gli episodi più salienti riconducibili alla situazione conflittuale.
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