L’amministratore delegato di UniCredit, Alessandro Profumo, ha annunciato di rinunciare alla parte variabile dello stipendio. Indubbiamente è in buona compagnia. Anche perché quest’anno circa un terzo dei dirigenti italiani non prenderà il bonus.
Solo una minoranza di fortunati, circa due su dieci, potrà invece aspirare ad incassare gratifiche vicine al massimo degli incentivi stabiliti un anno fa. Mentre il 50% dei manager dovrà accontentarsi di una retribuzione variabile estremamente ridotta, che partirà dal 10% circa.
Il tutto perché i complessi meccanismi del “total rewarding” – come sanno bene gli addetti ai lavori – non sono quasi mai legati a un solo parametro aziendale, ma tengono conto di numerosi fattori. Tra i principali, oltre a quelli strettamente collegati alle performance del singolo (a loro volta spesso divise in qualitative e quantitative), ci sono quelli della funzione o della “business unit” di appartenenza, il volume d’affari complessivamente raggiunto nel corso dell’esercizio, alcuni indicatori finanziari aziendali (ad esempio il margine Ebitda, a volte (ma sempre meno) il valore del titolo in Borsa), ecc.
In genere, come spiegano i cacciatori di teste, i vari elementi sono legati e gli aspetti personali tendono a intrecciarsi con quelli societari. C’è anche il caso di aziende che non pagano il bonus personale legato alla singola performance nel caso l’impresa non rispetti determinati “covenant”, cioè obiettivi di carattere finanziario legati a determinati patti commerciali o di business, in genere siglati con i finanziatori.
Questa situazione nella quale per circa un terzo dei manager italiani il bonus rimarrà solo un desiderio, viene messa in evidenza dai primi risultati di una indagine realizzata dalla società specializzata Od&m su incarico di Manager Italia.
Inoltre, ma questo dato è assai più scontato visto lo tsunami finanziario in corso, tre manager su quattro sono più stressati del solito, hanno maggiori incertezze e insicurezze nel 63% dei casi, mentre il 14% degli executive teme addirittura di perdere il posto, nonostante il 37% abbia anche aumentato le ore di lavoro.
Il tutto sullo sfondo di una riduzione del reddito (fenomeno che interessa oltre la metà degli intervistati) e del valore dei risparmi/investimenti effettuati in passato dai dirigenti.
Mai come questa volta la crisi colpisce, anche se in maniera varia e con conseguenze decisamente diversificate nella loro gravità assoluta e relativa, l’intero tessuto sociale.
Insomma, anche i manager piangono, per dirla con uno slogan della sinistra antagonista oggetto di discussione nell’ultima campagna elettorale. Al punto che anche loro hanno dovuto ridurre le vacanze, magari anche solo per lavorare di più.
È comunque indubbio che la crisi morda a fondo, come «Il Sole 24 Ore» ha già messo diverse volte in evidenza, ad esempio il 23 novembre («Convention al risparmio in azienda») e il 24 dicembre («Il party di Natale è low cost»).
Infatti un altro sondaggio effettuato da Astra, sempre per conto di Manager Italia, ha rilevato come nell’ultimo anno ben sei manager su dieci abbiano tagliato i consumi oppure le spese per il tempo libero o i week end (circa la metà).
«I dati ci dicono chiaramente – come spiega Claudio Pasini, presidente di Manager Italia (la Federazione dei dirigenti, dei quadri e professionale del terziario) – che anche i dirigenti tirano la cinghia. Sicuramente meno di altri, ma anche loro sono toccati nel vivo dalla difficile situazione in atto. Si consuma meno e si tagliano alcune spese, anche a scapito delle vacanze. In altre parole, la crisi colpisce duro anche i manager. Sono purtroppo parecchi quelli che hanno già perso o perderanno il lavoro nei prossimi mesi. Pure altre indagini confermano un quadro di grave difficoltà».
Ma non tutto è grigio. C’è anche chi, nella miglior tradizione industriale e manageriale del made in Italy sa reagire.
«Tantissime aziende – spiega Pasini – lavorano guardando al futuro e quindi progettano nuovi prodotti e servizi; l’entrata in altri business e/o mercati».
Ed è proprio per questo che anche tra i manager emergono aspetti positivi per la loro professione (dinamismo, nuove opportunità professionali fuori o dentro l’attuale azienda). Executive che, che proprio nello scenario di crisi del momento, sono in prima linea per affrontare la situazione e gettare le basi per cogliere la futura ripresa. «È proprio in frangenti come questi che i manager diventano sempre più necessari, indispensabili. Per fare questo devono oggi mettere in campo ancor più concretezza, tempestività, capacità di competere e aggredire i mercati, dialogo e interazione con i vari stakeholder, senso di responsabilità».
Fonte: Il Sole 24 Ore, 29 Dicembre 2008