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Home / Contratti / I PARAMETRI PER DISTINGUERE UN LAVORO SUBORDINATO DA UNO AUTONOMO

I PARAMETRI PER DISTINGUERE UN LAVORO SUBORDINATO DA UNO AUTONOMO

Scritto da: Redazione Bloglavoro 4 Giugno 2009 – 4 Giugno 2009 - 19:05

Rieccoci alle prese con uno dei dilemmi degli ultimi quindici anni, la croce delle croci dei precari: la differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Altresì detta “lavori subordinati spacciati per autonomi”.

Come sappiamo, il contratto a progetto è ancora applicato in modo indiscriminato, sostanzialmente per pagare meno i lavoratori e licenziarli senza problemi, sostituendoli spesso con altra manodopera sottopagata.

E’ una piaga che da anni non si riesce ad arginare a parte pochi coraggiosi che hanno fatto causa al datore di lavoro dimostrando che il proprio lavoro era di tipo subordinato e quindi il contratto a progetto era illecito. La Cassazione si è espressa ora su tutti quei lavori che richiedono un contratto di subordinazione, quindi con ampie tutele, contributi e stabilità, ma che vengono erogati come prestazioni professionali autonome, che quindi non possono beneficiare delle tutele di un contratto di subordinazione. E NON si è espressa a favore dei lavoratori, ma dei datori di lavoro (chiaro che in TV queste notizie non passano… ).

L’8 maggio scorso infatti la Cassazione si è espressa addirittura con un “testo guida” più che una sentenza (di seguito il testo completo). Secondo l’alta corte, l’assoggettamento al potere direttivo del datore non deve essere l’unico criterio per determinare un lavoro autonomo o subordinato. Nello specifico, nel caso di prestazioni estremamente semplici e ripetitive, gli elementi da esaminare per individuare il tipo di rapporto devono essere altri: continuità e durata dell’attività, modalità di erogazione del compenso, regolamentazione dell’orario.

La Cassazione quindi, con la sentenza n. 10629 dell’8 maggio 2009 (di seguito il testo completo), detta letteralmente i parametri che i giudici hanno a disposizione per stabilire la natura dei legami tra impresa e dipendente.

E ora quanti avranno il coraggio di ricorrere contro il datore di lavoro disonesto? Sempre meno.

Questo il testo della sentenza che di fatto ha rifiutato la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato per un dipendente di un’azienda sanitaria:

Corte di Cassazione, sentenza n. 10629 dell’8 maggio 2009

La Corte di Appello di Venezia respingeva
l’impugnazione proposta da avverso
la sentenza del Tribunale di Verona che aveva
rigettato la sua domanda, avanzata nei confronti
della società per conto della
quale aveva svolto il servizio di consegna dei
medicinali, avente ad oggetto l’accertamento
della sussistenza di rapporto di lavoro
subordinato intercorrente con la predetta società
con condanna della stessa al pagamento delle
conseguenti differenze retributive.
I giudici di appello, respinta l’istanza
istruttoria perché non ritualmente capitolata e
tendente a dimostrare fatti già documentalmente
provati e/o non contestati, ritenevano la
inconfigurabilità di un rapporto di lavoro
subordinato stante: la qualificazione della parti
del rapporto come autonomo; l’esistenza a carico
del lavoratore di un rischio d’impresa; la non
prestazione dell’attività in via esclusiva per la
convenuta; un orario di lavoro non svolto con le
caratteristiche del rapporto subordinato; la
scarsa importanza delle direttive impartite in
quanto riferite ad elementi accessori derivanti
dal servizio espletato e dalle merci trasportate
e non attinenti alle modalità di svolgimento
della prestazione; la possibilità del ricorrente,
previa semplice comunicazione alla convenuta, di
farsi sostituire da altro autista.
Avverso tale sentenza ricorreva in
cassazione sulla base di due censure cui
resisteva parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente
deduce contraddittorietà, illogicità, carenza
della motivazione nonché violazione dell’art. 24
Cost. in ordine al rigetto delle istanze
istruttorie.
Denuncia che nel ricorso di appello è stato fatto
rinvio alle prove come articolate nel ricorso di
primo grado e che comunque la eventuale
irregolarità, ove non eccepita da controparte,
poteva essere integrata dal giudice del lavoro.

Contesta che le circostanze di cui alla dedotta
prova testimoniale sarebbero provate documentalmente.
Assume che la prova testimoniale avrebbe potuto
dimostrare la totale subordinazione alle
direttive della convenuta.
Sottolinea che la mancata audizione dei testi si
riflette direttamente sul diritto di difesa
costituzionalmente garantito.
La censura è infondata.
Invero, è principio acquisito alla giurisprudenza
di questa Corte che il ricorrente il quale, in
sede di legittimità, denunci la mancata
ammissione in appello di una prova testimoniale
ha l’onere di indicare specificamente le
circostanze formanti oggetto della prova
medesima, affinchè la Corte di Cassazione possa
esercitare il controllo circa il carattere
decisivo dei fatti che si assumono trascurati dal
giudice di merito; infatti, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, il
giudice di legittimità deve essere in grado di
compiere tale controllo sulla base delle sole
deduzioni contenute nell’atto, senza dover
colmare le eventuali lacune con indagini
integrative (Cfr. per tutte case. 10357/05 e
5479/06).
Nella specie il ricorrente si limita ad
indicare genericamente i temi sui quali doveva
vertere la dedotta prova per testi e non precisa
a quale titolo i soggetti chiamati a rispondere
su di esse potessero esserne a conoscenza ( V. su
tale ultimo punto Cass. 5479/06 cit.) e ciò non
consente a questa Corte di verificare, sulla
base del solo ricorso, la correttezza del
giudizio di irrilevanza espresso su di essa dal
giudice de quo”.
Con la seconda censura il ricorrente denuncia
nullità della sentenza per illogicità e
contraddittorietà della motivazione nonché
violazione dell’art. 2094 ce in ordine alla
qualificazione del rapporto di lavoro.
Allega, quanto al noroen iuris di essere
subentrato ad altro lavoratore assunto con
contratto di lavoro subordinato; quanto al
rischio d’impresa l’irrilevanza giuridica
dell’elemento; quanto alla variabilità del
compenso che il rimborso chilometrico spettante
era inferior« a quello stabilito dall’ACI per il
dipendente che utilizzi il mezzo proprio; quanto
alla possibilità di lavorare per altri soggetti
che tanto è escluso dalla prestazione giornaliera
di 14 ore e che comunque la circostanza è
irrilevante; quanto alla flessibilità dell’orario
di lavoro la sua irrilevanza.
La censura è infondata.
Questa Suprema Corte con sentenza n.8569/04,
pienamente condivisa dal Collegio, “premesso che
ogni attività umana economicamente rilevante può
esser« oggetto sia di rapporto di lavoro
subordinato che di lavoro autonomo, ha, in
effetti, ripetutamente affermato che l’elemento
tipico che contraddistingue il primo dei suddetti
tipi di rapporto è costituito dalla
subordinazione, intesa quale disponibilità del
prestatore nei confronti del datore, con
assoggettamento del prestatore di lavoro al
potere organizzativo, direttivo e disciplinare
del datore di lavoro, ed al conseguente
inserimento del lavoratore nell’organizzazione
aziendale con prestazione delle sole energie
lavorative corrispondenti all’attività di impresa
(ex multis Cass. 3 aprile 2000 n. 4036;
Case. 9 gennaio 2001 n. 224; Casa. 29 novembre
2002 n. 16697; Casa. 1* marzo 2001 n. 2970)V ha
rilevato che “in numerose altre pronunzie si è
opportunamente sottolineato, peraltro, che
l’esistenza del vincolo va concretamente
apprezzata con riguardo alla specificità
dell’incarico conferito; «, proprio in relazione
alle difficoltà che non di rado si incontrano
nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo
e subordinato alla luce dei principi fondamentali
ora indicati, si è precisato che in tale ipotesi
è legittimo ricorrere a criteri distintivi
sussidiari, quali la presenza di una pur minima
organizzazione imprenditoriale ovvero l’incidenza
del rischio economico, l’osservanza di un orario,
la forma di retribuzione, la continuità delle
prestazioni e via di seguito (v. per tutte, Cass.
27 marzo 2000 n. 3674; Cass. n. 4036/2000 cit.)”.
“Ora”, ha sottolineato questa Corte nella
sentenza in parola “se l’attenuazione del potere
direttivo e disciplinare, tale da non escludere
pregiudizialmente la sussistenza della
subordinazione e da consentire il ricorso ai
menzionati criteri sussidiari, è stata di solito
riscontrata nella giurisprudenza di legittimità
in relazione a prestazioni lavorative dotate di
maggiore elevatezza e di contenuto intellettuale
e creativo (quali, ad esempio, quelle del
giornalista), va rilevato, tuttavia, che un
analogo strumento discretivo può validamente
adottarsi, all’opposto, con riferimento a
mansioni estremamente elementari e ripetitive, le
quali, proprio per la loro natura, non richiedono
in linea di massima l’esercizio di quel potere
gerarchico che si estrinseca – secondo quanto
asserito in numerosissime pronunce di questa
Corte – nelle direttive volta a volta preordinate
ad adattare la prestazione alle mutevoli esigenze
di tempo e di luogo dell’organizzazione
imprenditoriale e nei controlli sulle modalità
esecutive della prestazione lavorativa. Si vuol
dire con ciò che ove la prestazione lavorativa
sia assolutamente semplice e routinaria e con
tali caratteristiche si protragga per tutta la
durata del rapporto, l’esercizio del potere
direttivo del datore di lavoro, nei termini testé
precisati, potrebbe non avere occasione di
manifestarsi (come del resto è stato affermato da
Cass. n. 3674 del 2000, cit., secondo cui
l’esistenza del potere direttivo e disciplinare
del datore di lavoro è sicuro indice di
subordinazione, mentre la relativa assenza non è
sicuro indice di autonomia”). Conclusione,
questa, che tanto più appare valida laddove nel
momento genetico del rapporto di lavoro siano
state dalle parti puntualmente predeterminate le
modalità di una prestazione destinata a ripetersi
nel tempo, essendo evidente che in casi del
genere – a fronte, cioè, di mansioni elementari
e, per così dire, rigide – il potere direttivo
del datore di lavoro potrà anche non assumere una
concreta rilevanza esterna (laddove il potere
disciplinare in tanto potra avere modo di
estrinsecarsi in quanto il prestatore aia incorso
in una inosservanza dei propri doveri, che non
può essere astrattamente presupposta).
Del resto, che la subordinazione possa ritenersi
sussistente anche in assenza del vincolo di
soggezione al potere direttivo del datore di
lavoro (inteso, ancora una volta, nei termini
sopra indicati), ed in presenza, viceversa,
dell’assunzione per contratto, da parte del
prestatore, dell’obbligo di porre a disposizione
del datore le proprie energie lavorative e di
impiegarle con continuità secondo le direttive di
ordine generale impartite dal datore di lavoro ed
in funzione dei programmi cui è destinata la
prestazione per il perseguimento dei fini propri
dell’impresa, è stato già affermato da questa
Corte, sia pure con riferimento all’evolversi dei
sistemi di organizzazione del lavoro in direzione
di una sempre più diffusa esteriorizzazione di
interi settori del ciclo produttivo o di
professionalità specifiche (in particolare Cass.
6 luglio 2001 n. 9167 e 26 febbraio 2002 n.
2842): tanto a riprova della possibilità – ed
anzi della necessità – con riferimento
all’estrema variabilità che la subordinazione può
assumere nei diversi contesti, di prescindere dal
potere direttivo dell’imprenditore nei casi in
cui esso non possa validamente assumere il ruolo
discretivo che normalmente gli è proprio”.
Di qui il principio di diritto, espresso nella
sentenza in parola, cui questo Collegio intende
dare continuità giuridica, secondo il quale nel
caso in cui la prestazione dedotta in contratto
sia estremamente elementare, ripetitiva e
predeterminata nelle sue modalità di esecuzione
al fine della distinzione tra rapporto di
lavoro autonomo e subordinato il criterio
rappresentato dall’assoggettamento del prestatore
all’esercizio del potere direttivo, organizzativo
e disciplinare non risulti, in quel particolare
contesto, significativo, per la qualificazione
del rapporto di lavoro occorre far ricorso a
criteri distintivi sussidiari, quali la
continuità e la durata del rapporto, le modalità
di erogazione del compenso, la regolamentazione
dell’orario di lavoro, la presenza di una pur
minima organizzazione imprenditoriale (anche con
riferimento al soggetto tenuto alla fornitura
degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di
un effettivo potere di autorganizzazione in capo
al prestatore, desunto anche dalla eventuale
concomitanza di altri rapporti di lavoro.
Nella specie il giudice di appello si è attenuto
a siffatto criterio in quanto proprio in
considerazione delle peculiari caratteristiche
della prestazione lavorativa resa a favore della
società resistente, consistente nella consegna
dei medicinali, e quindi in una prestazione
elementare e ripetitiva, ha fatto ricorso ,ai
fini della distinzione tra lavoro autonomo e
subordinato, agli indicati criteri distintivi
sussidiari pervenendo, con motivazione congrua e
formalmente coerente con equilibrio dei vari
elementi che ne costituiscono la struttura
argomentativa, alla conclusione della
insussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato.
La sentenza, quindi, è conforme al diritto ed è
assistita da motivazione adeguata che la sottra^
come tale-, al sindacato di questo giudice di
legittimità.
Il ricorso in conclusione va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio
di legittimità liquidate in Euro —– oltre E.
2.000, 00 per onorario,! spese, IVA e CPA.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
25 Febbraio 2009
Il Presidente

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