Più di ottanta lavoratori morti di tumore. Altri ammalati, altri ancora con patologie respiratorie gravi. Sembra un bollettino di guerra, ma è solo una delle industrie italiane che lavoravano nel più profondo spregio della salute dei suoi lavoratori: la Marlane Marzotto di Praia a Mare.
Ma non è bastato avere patologie tumorali chiaramente connesse alle condizioni di lavoro nella tessitura/tintura che ha inquinato anche tutto il territorio di Praia a Mare. Sono occorsi invece oltre dieci anni di lotte ai lavoratori della Marlane Marzotto di Praia a Mare per vedersi riconosciute le rivendicazioni sulle svariate decine o centinaia di morti per patologie tumorali registratesi tra loro. Una lotta portata avanti quasi unicamente dallo Slai Cobas. Le cause che hanno causato e stanno continuando a causare questo eccidio sono l’inquinamento del terreno su cui sorgeva la fabbrica, del mare adiacente la fabbrica, per non parlare dell’inquinamento molto più ampio dovuto ai fanghi di depurazione smaltiti presso discariche abusive – ne fanno fede i verbali dei Carabinieri comminati ai camion che li trasportavano – e molto probabilmente delle falde acquifere.
Ora è ufficiale: la procura di Paola ha reso noto di aver chiuso le indagini ed ha annunciato il rinvio a giudizio per i dirigenti ed i tecnici indagati. Fondamentalmente due i capi d’imputazione, truffa e omicidio colposo, tuttavia sul secondo capo la quasi totalità dei legali nominati propendono per modificarlo in omicidio volontario con dolo eventuale. Riuscire ad attribuire l’omicidio volontario sarebbe un grosso successo e il minimo per chi ha deliberatamente e coscientemente costretto i dipendenti a lavorare respirando i fumi tossici della tintura. Infatti ha
Grande soddisfazione nei lavoratori denuncianti che, resistendo con coraggio a ricatti e minacce d’ogni genere, per molti anni hanno tenuto testa alle prevaricazioni della multinazionale del tessile valdagnese. I decessi e gli ammalati sono tanti e ancora molti coloro che al termine di una incubazione di decenni potrebbero soccombere vittime del male che non perdona. Ben tre archiviazioni si sono succedute nel corso degli anni e tutte e tre sono state fatte oggetto di opposizione fidando in una giustizia degna di tale nome.
Ora il caso Marlane finalmente è approdato agli onori della cronaca, conquistandosi quello spazio mediatico che la gravità del caso meritava e non da ora. Lo Slai Cobas accusa: “Eppure tutti sapevano. Lo sapevano i sindacati confederali locali più attenti a curare l’indotto che l’interesse generale ed i politici dai vari colori, lo sapevano i lavoratori della fabbrica ai quali il bisogno da sempre ha consigliato il silenzio, lo sapevano le istituzioni puntualmente rese edotte su ciò che avveniva in questa fabbrica “apportatrice di benessere”. Eppure di soldi pubblici questa fabbrica ne ha macinati tanti, al punto da far dire ad un funzionario dell’Ispettorato: “Se avessero dato a tutti i cittadini praiesi i soldi spesi per l’azienda ne avrebbero fatto un paese di milionari” “. Della massa di denaro quasi nulla è stato destinato alla salvaguardia dei lavoratori, nonostante le varie leggi succedutesi nel tempo a loro tutela. Lo SLAI Cobas, unico sindacato coerentemente a fianco degli operai in lotta nel processo ha già annunciato che si costituirà parte civile, orgoglioso del successo ottenuto per la prima volta in Italia in un’azienda del settore tessile.
Ma è finita? No, il pericolo esiste ancora per tutti gli abitanti di Praia a Mare. Dietro la Marlane Marzotto infatti ci sono quegli scavi di cui nessuno parla, dove sono stati rinvenuti rifiuti tossici, che certamente si sono sparsi per tutta la cittadina distribuendo i loro veleni su donne, bambini, anziani. Tutti tacciono, nessuno vuole sapere di quelle morti, di quelle decine e decine di morti di operai ed operaie, come se non li riguardasse oltre alla notizia di cronaca.
Ma cosa successe alla Marlane Marzotto per provocare ottanta e più casi di tumore acclarati? Dalla perizia tecnica sui materiali impiegati alla Marlane Marzotto si rileva che si usavano sostanze chimiche carcinogenetiche. Inoltre l’azienda senza nessun permesso o perizia, decise di non sottostare all’obbligo di separazione dei lavori nocivi e dalla generale difesa dell’aria dai prodotti nocivi e dalle polveri. In pratica riunì tutti i reparti eliminando le pareti divisorie!!! Una decisione puramente folle, dei cui rischi erano perfettamente a conoscenza i dirigenti dell’azienda, che ora rischiano giustamente un’accusa di omicidio volontario.
Sostanze tossiche che ora sono anche nel terreno e nelle falde acquifere di Praia a Mare. Il cromo in particolare, il cui utilizzo in sali solubili quali quelli utilizzati nella preparazione dei bagni di tintura, può essere responsabile di neoplasie maligne in qualunque organo del corpo umano. E dagli atti processuali si evince inequivocabilmente che tale sostanza era usata nello stabilimento della Marlane quando già nel 1992 vi erano evidenze scientifiche nell’industria europea sulle proprietà cancerogene dei coloranti azoici in uso nell’industria tessile e del cuoio. Ma nulla venne fatto, anzi.
Lo smantellamento della fabbrica è avvenuta senza grandi proteste o meglio senza interventi dei grandi sindacati (secondo la Slai Cobas erano anzi conniventi) che hanno permesso a Marzotto di usufruire di tutti i finanziamenti dello stato per poi chiudere tranquillamente e portarsi i macchinari nell’est d’Europa. Ma i favori erano già cominciati ben prima: la Marlane, con l’intero gruppo Lanerossi, fu svenduta nel 1987 alla Marzotto per appena 173 miliardi di lire, a fronte di 44 milioni di lire di finanziamenti pubblici stanziati dalla finanziaria dell’ENI per ognuno degli oltre 200 lavoratori tagliati fuori dal processo produttivo allo scopo di allestire un fumoso piano di riallocazione occupazionale mai avvenuto. Soldi stanziati e di cui si sono perse le tracce.