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Home / Concorsi - Enti locali 2017 / CONCORSI PUBBLICI REGOLARI SOLO SE APPLICANO LA PROCEDURA APERTA

CONCORSI PUBBLICI REGOLARI SOLO SE APPLICANO LA PROCEDURA APERTA

Scritto da: Redazione Bloglavoro 23 Marzo 2010 – 23 Marzo 2010 - 21:03

Elemento essenziale del concorso pubblico è la natura “aperta” della procedura, sicché “procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violano ‘il carattere pubblico’ del concorso”. È pertanto illegittimo prevedere l’indizione di “concorsi riservati per l’assunzione di personale privato”.
Lo ha stabilito il giudice delle leggi che, con la sentenza n. 100 del 17 marzo scorso, ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 7 della legge della Regione Campania n. 16 del 28 novembre 2008.
La norma censurata, infatti, facendo “obbligo alle Aziende sanitarie locali e alle Aziende ospedaliere della Campania di bandire concorsi riservati per i lavoratori in servizio in modo continuativo da almeno tre anni presso strutture sanitarie private provvisoriamente accreditate, licenziati e posti in mobilità a seguito di provvedimento di revoca dell’accreditamento conseguente alla perdita dei requisiti previsti dalle vigenti disposizioni in materia”, viola i principi di cui agli articoli 3, comma 1, 51 e 97, commi 1 e 3, della Carta costituzionale.

Di seguito, la sentenza della Corte Costituzionale che regola l’accesso al pubblico impiego e chiarisce le modalità della procedura aperta:

Sentenza n. 293 del 13 novembre 2009
Materia: pubblico impiego- accesso.

Giudizio: legittimità costituzionale in via principale
Limiti violati:. Articoli 3, 51, primo comma, 97 e 117, secondo comma, della
Costituzione.
Ricorrenti: Presidente del Consiglio dei ministri
Oggetto: artt. 1 e 4, commi 1, 2 e 4, della legge della Regione Veneto 26 giugno
2008, n. 3 (Interpretazione autentica dell’articolo 2 della legge regionale 16
agosto 2007, n. 22 “Disposizioni di riordino e semplificazione normativa –
collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di personale, affari istituzionali,
rapporti con gli enti locali”, dell’art. 96 della legge regionale 27 febbraio 2008,
n. 1 “Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2008” e modifiche alla legge
regionale 10 gennaio 1997, n. 1 “Ordinamento delle funzioni e delle strutture
della Regione” e successive modificazioni).
Esito: accoglimento ricorso.
Estensore: Carla Campana
Con riferimento alla prima questione, il Presidente del Consiglio dei ministri
sostiene che la disciplina censurata, asseritamente interpretativa dell’articolo 2
della legge della Regione Veneto 16 agosto 2007, n. 22 (Disposizioni di riordino e
semplificazione normativa – collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di
personale, affari istituzionali, rapporti con gli enti locali), a sua volta attuativo
dell’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2007), abbia in realtà esteso, con effetto innovativo, la stabilizzazione del
personale precario del Servizio sanitario nazionale anche ai profili di livello
dirigenziale. Con ciò essa avrebbe violato i criteri e i limiti previsti dalla
disciplina statale sulla stabilizzazione dei dipendenti pubblici, contenuti in
particolare nell’art. 1, commi da 513 a 543, della legge n. 296 del 2006 (cui
rinvia il già menzionato art. 1, comma 565, della medesima legge) e nell’art. 3,
comma 94, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008). Ad avviso
del ricorrente, le predette disposizioni legislative statali, le quali escludono la
stabilizzazione del personale precario di livello dirigenziale, costituiscono
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, cui le
Regioni devono attenersi “in vista delle inevitabili ricadute di carattere
economico permanente che un uso estensivo della stabilizzazione sarebbe
idoneo a causare”. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, pertanto, la
disciplina censurata, nel porsi in contrasto con tali principi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica, lederebbe l’art. 117, secondo comma,
della Costituzione. Essa violerebbe, inoltre, ad avviso del ricorrente, anche i
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principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica
amministrazione riposanti sugli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Relativamente alla seconda questione sollevata, avente ad oggetto l’art. 4,
commi 1, 2 e 4, della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008, il Presidente del
Consiglio dei ministri osserva che le norme censurate, attraverso una procedura
selettiva riservata, dispongono l’applicazione della stabilizzazione prevista
dall’art. 96 della legge della Regione Veneto 27 febbraio 2008, n. 1 (Legge
finanziaria regionale per l’esercizio 2008) anche al personale degli uffici di
diretta collaborazione degli organi politici, assunti ai sensi degli artt. 178 e 179
della legge della Regione Veneto 10 giugno 1991, n. 12 (Organizzazione
amministrativa e ordinamento del personale della Regione) e degli artt. 8 e 19
della legge della Regione Veneto 10 gennaio 1997, n. 1 (Ordinamento delle
funzioni e delle strutture della Regione). Anche in questo caso, ad avviso del
ricorrente, le disposizioni regionali si porrebbero in contrasto con i principi
dettati dalla disciplina legislativa statale in materia di stabilizzazione del
personale pubblico (art. 1, commi da 513 a 543, della legge n. 296 del 2006 e
art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007), sia perché tali principi
“escludono l’applicabilità delle procedure di stabilizzazione al personale di
diretta collaborazione degli organi politici”, sia perché, in particolare, l’art. 1,
comma 519, della legge n. 296 del 2006 prevede, ai fini della stabilizzazione, un
criterio temporale difforme rispetto a quello indicato dall’art. 4, comma 4, della
legge regionale impugnata. Le disposizioni regionali censurate, inoltre, secondo
il Presidente del Consiglio dei ministri, introdurrebbero una deroga ingiustificata
alla regola del concorso pubblico, posta a garanzia del buon andamento e
dell’imparzialità dell’amministrazione, con conseguente violazione degli artt. 3,
51, primo comma, e 97 della Costituzione.
La Corte ritiene fondato il ricorso in forza del disposto degli articoli 97, terzo
comma, e compie un ampio excursus delle pronunce già espresse sul tema.
Secondo la Corte, dal disposto dell’articolo 97 citato, infatti, discende che la
“forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni”
(sentenza n. 363 del 2006) è rappresentata da una selezione trasparente,
comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in
possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti. Il rispetto di tale
criterio è condizione necessaria per assicurare che l’amministrazione pubblica
risponda ai principi della democrazia, dell’efficienza e dell’imparzialità. La
Costituzione, precisa la Corte, ha accordato al legislatore la facoltà di derogare
al principio del concorso. Le deroghe legislative, tuttavia, sono sottoposte al
sindacato di costituzionalità, nell’esercizio del quale questa Corte ha
progressivamente precisato il significato del precetto costituzionale.
Innanzitutto, la Corte ha affermato che anche le modalità organizzative e
procedurali del concorso devono “ispirarsi al rispetto rigoroso del principio di
imparzialità” (sentenza n. 453 del 1990). Di conseguenza, non qualsiasi
procedura selettiva, diretta all’accertamento della professionalità dei candidati,
può dirsi di per sé compatibile con il principio del concorso pubblico. La natura
comparativa e aperta della procedura è, pertanto, elemento essenziale del
concorso pubblico; procedure selettive riservate, che escludano o riducano
irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violano il “carattere
pubblico” del concorso (sentenza n. 34 del 2004). La Corte ha poi chiarito che al
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concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da
non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente
estranei alle pubbliche amministrazioni. Il concorso è necessario, peraltro,
secondo la Corte, anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in
servizio (ciò che comunque costituisce una “forma di reclutamento”, e in quelli,
che più direttamente interessano le fattispecie in esame, di trasformazione di
rapporti non di ruolo, e non instaurati ab origine mediante concorso, in rapporti
di ruolo. Sotto quest’ultimo profilo, infine, la Corte ribadisce i limiti entro i
quali può consentirsi al legislatore di disporre procedure di stabilizzazione di
personale precario che derogano al principio del concorso. Secondo
l’orientamento
progressivamente
consolidatosi
nella
giurisprudenza
costituzionale, infatti, “l’area delle eccezioni” al concorso deve essere
“delimitata in modo rigoroso” (sentenza n. 363 del 2006). Le deroghe sono
pertanto legittime solo in presenza di “peculiari e straordinarie esigenze di
interesse pubblico» idonee a giustificarle” (sentenza n. 81 del 2006). Non è, in
particolare, sufficiente, a tal fine, la semplice circostanza che determinate
categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso
l’amministrazione (sentenza n. 205 del 2006), né basta la “personale aspettativa
degli aspiranti” ad una misura di stabilizzazione (sentenza n. 81 del 2006).
Occorrono, sostiene la Corte, invece, particolari ragioni giustificatrici,
ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da reclutare è
chiamato a svolgere, in particolare relativamente all’esigenza di consolidare
specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e
non acquisibili all’esterno, le quali facciano ritenere che la deroga al principio
del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento
dell’amministrazione.
Alla luce dei principi costituzionali, secondo gli orientamenti giurisprudenziali
richiamati, la Corte procede a valutare le questioni di legittimità costituzionale
delle due fattispecie di stabilizzazione previste dalle disposizioni legislative
regionali censurate.
Con riguardo alla prima fattispecie, la Corte ritiene che l’ipotesi di
stabilizzazione attualmente censurata, non presenti sufficienti garanzie per
assicurare che la disposta trasformazione del rapporto di lavoro riguardi soltanto
soggetti che siano stati selezionati ab origine mediante procedure concorsuali.
Una simile condizione non è espressamente prevista dalla disciplina legislativa
regionale impugnata, né da quella statale cui il legislatore veneto ha inteso dare
attuazione, la quale, anzi, espressamente ammette alla stabilizzazione anche
personale assunto a tempo determinato mediante procedure che non hanno
natura concorsuale. Inoltre, la stabilizzazione in ruolo prevista dalla norma
regionale impugnata non è “subordinata all’accertamento di specifiche
necessità funzionali dell’amministrazione”, per il soddisfacimento delle quali
risponda ad esigenze di buon andamento ricorrere esclusivamente a soggetti in
possesso di esperienze professionali maturabili soltanto all’interno della stessa
amministrazione. La stabilizzazione in esame si riferisce, all’opposto, a figure
professionali, come i dirigenti sanitari, per le quali assume una particolare
importanza il pieno rispetto della selezione concorsuale, sia per la loro qualifica
dirigenziale, sia per l’indubbio rilievo che le loro prestazioni rivestono per la
migliore organizzazione del servizio sanitario.
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Per l’effetto dichiara incostituzionale, dunque, l’art. 1 della legge della Regione
Veneto n. 3.
Con riguardo alla seconda fattispecie di stabilizzazione censurata dal ricorrente
(l’art. 4, commi 1, 2 e 4 della legge della Regione Veneto n. 3 del 2008), la
Corte parimenti ritiene le disposizioni incostituzionali in quanto prevedono
ipotesi di accesso ai pubblici impieghi che derogano palesemente al criterio del
concorso pubblico. Ciò vale sia per coloro che, non essendo stati assunti ab
origine mediante concorso, vengono stabilizzati mediante apposita procedura
selettiva riservata (art. 4, comma 1), sia per coloro che, invece, vengono
stabilizzati senza doversi sottoporre a tale procedura, avendo già in precedenza
superato una selezione pubblica (art. 4, comma 2). Nel primo caso, è del tutto
evidente, secondo la Corte, che il carattere interamente riservato della
procedura contraddice la natura pubblica del concorso, la quale esige invece che
la selezione sia aperta alla partecipazione degli esterni e abbia natura
comparativa. Nel secondo caso, il previo superamento di una qualsiasi selezione
pubblica, presso qualsiasi ente pubblico, è requisito troppo generico per
autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, perché la norma non
garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla
tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato
è chiamato a svolgere.
Tali deroghe al principio del concorso pubblico, inoltre, non sono giustificate da
peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico.. Al contrario, ribadisce la
Corte Costituzionale, la stabilizzazione del personale degli uffici di diretta
collaborazione non solo non è funzionale al buon andamento
dell’amministrazione, ma contrasta con la specifica funzione cui questo
personale deve assolvere, cioè quella di consentire al titolare dell’organo
politico di avvalersi di personale nominato intuitu personae. La stabilizzazione di
questa specifica categoria di personale, infatti, come questa Corte ha chiarito,
impedirebbe ai titolari degli organi politici nella successiva legislatura di potersi
valere, per la durata del mandato, di collaboratori di loro fiducia, diversi cioè da
quelli stabilizzati, “se non accettando che il nuovo personale così assunto si
aggiunga ad essi, con inevitabile aggravio del bilancio regionale” (sentenza n.
277 del 2005).

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