La Camera ha approvato il disegno di legge collegato sul lavoro. I sì al ddl sono stati 259, i no 214 e 35 gli astenuti. Il ddl era stato rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che aveva chiesto correzioni su due punti in particolare: l’arbitrato e i risarcimenti per le cause di lavoro legate all’amianto. Sul primo punto, il governo è stato battuto ieri su un emendamento del Pd che ha fissato al momento del licenziamento, e non più alla firma del contratto, la possibilità per il lavoratore di optare per l’arbitrato anzichè per la giustizia ordinaria. Non è detto che la modifica non sia corretta a Palazzo Madama.
Primo giro di boa superato per il collegato lavoro che taglia il traguardo di Montecitorio passando così al Senato. Un provvedimento “ricco” di capitoli delicati come quello dell’arbitrato secondo equità su cui si è soffermato, fra gli altri, anche il Capo dello Stato nel messaggio di rinvio. Il nuovo testo presenta, quindi, modifiche significative solo alle parti citate dal Presidente della Repubblica: la norma sui danni da amianto per i lavoratori a bordo del naviglio di Stato che ora dà loro certezza di risarcimento; la norma sull’arbitrato che introduce nuovi paletti volti a garantire l’effettiva volontarietà delle parti di farvi ricorso; la norma sui licenziamenti individuali che ora prevede l’obbligo di comunicazione in forma scritta e la norma sui rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che ora obbliga l’azienda a stipulare un contratto a tempo indeterminato al collaboratore che abbia vinto la causa.
Resta per il momento irrisolto il conflitto di interpretazione dell’emendamento Damiano (Pd) su cui il governo è stato battuto in Aula. Si tratta di una modifica all’articolo sull’arbitrato in base alla quale le commissioni di certificazione devono accertare l’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie già insorte (e non che eventualmente dovessero insorgere). Un participio passato che, stando all’interpretazione del Pd, significa che le parti devono dichiarare se vogliono affidarsi ad un arbitro non prima dell’insorgere di una controversia (come prevedeva il testo della Commissione), ma solo dopo. Interpretazione bocciata però da governo e maggioranza che ritengono invece ininfluente la modifica.
Fonte: La Stampa