Dopo il richiamo da parte dell’Europa, il governo si accinge ad affrontare la questione della parificazione a 65 anni dell’età pensionabile nel pubblico impiego tra uomini e donne: l’esecutivo prenderà una decisione già nel prossimo vertice a palazzo Chigi. Lo ha detto oggi il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, in un’intervista radiofonica. «Prenderemo – ha spiegato – una decisione velocemente. Il collega Sacconi vedrà domani la Commissione Ue e prenderemo una decisione probabilmente già nel prossimo Consiglio dei ministri».
Il governo aveva già previsto l’equiparazione uomini-donne nella pubblica amministrazione nel 2018 ma «l’Europa – ha ricordato Brunetta – dice che il lasso di tempo è troppo lungo. Si cercherà – ha aggiunto il ministro – di trovare una mediazione. Si troverà una soluzione e si troverà una soluzione equilibrata con un interessante via di mezzo, non il 2018 ma non il 2012. L’Europa su questo si è in parte accanita». Brunetta infine ha ricordato che quando il governo ha preso questa decisione è stato «coperto di insulti dai benpensanti italiani, dai sindacati e dalla sinistra salottiera e radical chic». (FONTE: Il Sole 24 Ore, 6 Giugno 2010)
Ma sempre su Il Sole 24 Ore, già settimana scorsa Gianni Trovati parlava di tagli consistenti a stipendi e liquidazioni, secondo le dichiarazioni di Tremonti e Brunetta. <<L’austerità imposta dalla manovra è un’onda di piena, che supera anche gli argini della pubblica amministrazione. A spingerla ai vertici di enti e società anche private è soprattutto la norma sul «compenso zero» negli organi collegiali, che rende «onorifiche» (cioè senza stipendio, con la possibilità residuale di un gettone da 30 euro) le cariche nei consigli di amministrazione, collegi sindacali, organi di revisione negli «enti» che a vario titolo ricevono contributi «a carico delle finanze pubbliche» (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).
Fra gli enti nel mirino – come confermato ieri dal ministero dell’Economia – ci sono anche le società, private o pubbliche che siano: il discrimine non è il modello adottato (societario, associativo o altro), ma il fatto di pesare in modo più o meno marcato sui conti pubblici.
I nomi degli interessati dalla stretta, entrata in vigore il 31 maggio, potrebbero essere migliaia: dalle ferrovie alla Rai (titolare della convenzione per il servizio pubblico), fino alle società aiutate dalle finanziarie regionali, sono molti gli organi collegiali a rischio-stipendi. Difficile, per ora, stabilire con precisione chi è colpito e chi si salva; si è però facili profeti se si prevede che l’ampiezza del raggio d’azione della nuova regola alimenterà il dibattito parlamentare, le polemiche dei diretti interessati e un’intensa attività interpretativa. Senza dubbio al sicuro sono solo ministeri, agenzie, previdenza e assistenza nazionale, sanità, università e camere di commercio.
Nella rete dell’azzera-stipendi sembrano destinate a finire anche molte società pubbliche: quelle che grazie ai loro dividendi sono impegnate a dare più che a ricevere contributi ai conti pubblici possono considerarsi in salvo, ma per molte delle altre è il momento della stretta. La manovra, per esempio, fissa il divieto generale per le pubbliche amministrazioni di ripianare i conti delle partecipate ma apre ad alcune deroghe, per esempio quando il capitale sociale scende sotto i livelli di guardia (fissati dall’articolo 2447 del Codice civile). Gli amministratori che navigano in cattive acque potranno chiedere aiuto ai soci pubblici, ma potrebbero poi doversi rassegnare a sedere gratis in consiglio. Un assegno più o meno corposo da parte di un ente pubblico cancella i compensi nelle fondazioni e nelle associazioni, fra cui ci sono molte delle realtà culturali tagliate dall’elenco poi espunto dal decreto in accordo con il Quirinale. Molte di queste realtà, insomma, hanno scampato per un pelo lo stop ai fondi pubblici, ma se vorranno continuare a riceverli dovranno rinunciare ai compensi per gli organi di vertice. >>