Il lavoro a chiamata o job on call negli ultimi anni è diventato la nuova frontiera del lavoro precario. Non solo non ti assumo, ma ti chiamo quando mi pare e solo per il tempo breve in cui mi serve. Un contratto che doveva servire a snellire il settore turismo, mentre ha di fatto soppiantato, soprattutto in questo settore, i contratti di collaborazione e altre forme a tempo determinato. Il risultato? Si lavora di meno, in condizioni peggiori, con meno diritti e senza nessuna prospettiva per il futuro. Infatti, addirittura a inizio stagione, molti non sanno nemmeno se lavoreranno almeno tre mesi o una sola settimana.
Finora avevamo raccolto le tante testimonianze dei nostri lettori che spesso lamentavano la carenza di norme di sicurezza e il mancato rispetto dei diritti fondamentali (pause, turni di riposo, straordinari) proprio nell’uso smodato del contratto a chiamata. Ieri le impressioni sono state supportate dai dati Istat: il contratto a chiamata ha soppiantato altre forme contrattuali a tempo determinato.
L’Istat diffonde per la prima volta i dati analitici sulla domanda di lavoro delle imprese italiane relativa alle posizioni con contratto di lavoro a chiamata (o lavoro intermittente o job-on-call) per gli anni dal 2006 al 2009. Tale tipologia contrattuale è stata introdotta in Italia nel 2003, con la riforma del mercato del lavoro prevista nella legge 30, allo scopo di fornire un’adeguata disciplina giuridica alle prestazioni di lavoro dipendente discontinue e intermittenti. Con questo contratto il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che può richiedere la prestazione lavorativa, nei limiti stabiliti dalla legge, anche in momenti successivi alla stipula del contratto.
In particolare, le stime si riferiscono all’occupazione, misurata sia in termini di posizioni lavorative sia di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (Ula), alle ore retribuite e alle retribuzioni lorde dei dipendenti con contratto di lavoro intermittente occupati nei settori dell’industria e dei servizi orientati al mercato (sezioni B-N e P-S dell’Ateco 2007), con disaggregazioni per regione e per classe dimensionale delle imprese che li utilizzano.
Vale la pena allora ricordare in quali ambiti non può essere utilizzato il contratto a chiamata:
E’ vietato il ricorso al lavoro intermittente (Dlgs art. 34, comma 3):
– per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero
– salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a chiamata ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata
– da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni
Per una scheda approfondita sul contratto a chiamata, leggi questa pagina.