Il coworking (da “co” = insieme e “work” = lavoro) è una modalità di telelavoro che sta emergendo recentemente e che sopperisce alla mancanza di uffici e studi professionali per i quali i costi individuali sarebbero troppo onerosi. Tipicamente professionisti che lavorano da casa, consulenti e lavoratori che viaggiano molto finiscono col lavorare in isolamento. Il coworking è quindi il ritrovo sociale di lavoratori che, sebbene continuino a lavorare in maniera indipendente, condividono alcuni valori comuni e sono interessati alle sinergie che si possono creare nel momento in cui si lavora con altri professionisti nello stesso luogo fisico.
Alcuni spazi di coworking sono nati dall’iniziativa di liberi professionisti del Web e di Internet che erano soliti viaggiare molto e lavorare da bar e caffè, oppure in isolamento dalle loro case.
Il coworking è in qualche maniera simile agli incubatori di impresa anche se in questi ultimi spesso mancano aspetti di socialità, collaborazione e informalità. Da questo punto di vista, le iniziative di coworking assomigliano di più a cooperative, specie per la loro attenzione al concetto di comunità, piuttosto che a tipiche iniziative commerciali. Molti dei participanti al coworking sono anche coinvolti nei BarCamp e altri sviluppi collaborativi di tecnologie quali ad esempio progetti open source.
Ma se si condivide l’ufficio senza essere soci, l’intestatario delle bollette non può limitarsi ad addebitare la quota dei costi agli altri professionisti dello studio ma è tenuto ad emettere fattura al momento del rimborso delle spese sostenute. La Fondazione studi Consulenti del lavoro, nel Parere n. 23 del 14.9.2010, chiarisce gli obblighi fiscali in capo al soggetto intestatario del contratto di locazione di un ufficio, condiviso con altri colleghi con i quali non sussiste un rapporto societario. L’ipotesi non è infrequente, visiti i costi di locazione degli appartamenti, divenuti ormai esorbitanti in numerose città italiane.
La prassi comune vuole che gli altri professionisti si limitino a pagare la rispettiva quota delle bollette per i servizi di cui usufruiscono. Così facendo, però, non risulta loro possibile dedurre le spese sostenute dalle imposte. La Fondazione chiarisce le modalità per ovviare a questo problema. L’intestatario della bolletta è tenuto ad emettere fattura di importo pari alla quota dovuta da ciascun collega, applicando l’aliquota Iva applicata al servizio, senza alcuna ritenuta. Le somme che gli vengono rimborsate vanno computate come minor costo sostenuto, non costituendo componenti positive di reddito. Solo in questo modo si ha una rispartizione corretta, anche sul piano fiscale, dei costi che gravano sull’attività di ciascun professionista.
Sul riaddebito delle spese sostenuti per lo studio professionale, vi sono anche pareri discordi da parte delle Casse previdenziali. Infatti, si legge nel Parere dei Consulenti del Lavoro, ” la cassa nazionale previdenza dottori commercialisti ha ritenuto di dover chiarire che ‘Il contributo integrativo deve essere applicato anche ai corrispettivi afferenti le parcelle emesse a puro titolo di addebito di spese’. Diversamente l’Inarcassa ha chiarito che ‘Il contributo integrativo non è dovuto per le prestazioni effettuate nei rapporti di collaborazione tra ingegneri e architetti, anche in quanto partecipanti ad associazioni o società di professionisti. Esso non è dovuto neppure per le prestazioni effettuate nei rapporti di collaborazione fra Società di Ingegneria e fra queste ed i soggetti precedentemente indicati”.
La cassa forense non si è espressa sullo specifico punto. “La Cassa di previdenza dei consulenti del lavoro non ha adottato alcun provvedimento in merito alle questioni esposte, tuttavia è prassi consolidata che sulle spese non sia dovuto il contributo integrativo”.
Fonti: Si ringraziano per le informazioni Camera di Commercio di Milano, Unione Consulenti del Lavoro, AdnKronos