Un caso simbolico, quello della Cagi Maglierie, che si ripresenta ormai spesso. Non solo si licenzia, ma si impone anche di impegnarsi a non far causa una volta rimasti a casa. Un annullamento sistematico dei diritti dei lavoratori, spesso con il mutismo-assenso dei sindacati, troppo abituati alla situazione per considerarla anormale.
E’ quindi una ripresa amara per 70 lavoratori della Cagi maglierie : dopo la chiusura dello stabilimento di Cilavegna, nel 2008, anche quello di Motta Visconti è in liquidazione: «La ditta è in liquidazione dal primo di luglio – spiega il segretario dei tessili Cgil di Legnano Nicola Romano – e c’è il rischio concreto che dalla cassa integrazione si passi ai licenziamenti. L’acquirente che si era fatto avanti per rilevare il ramo d’azienda messo sul mercato non ha ancora confermato la proposta presentata all’inizio di luglio. Proposta che, tra l’altro, non prevedeva l’assunzione di tutti i lavoratori, ma soltanto di 13 unità».
A farsi avanti per acquistare il ramo d’azienda è stato il gruppo tessile Csp, società quotata in borsa che produce intimo, maglieria e costumi ed è titolare di marchi importanti del settore come Sanpellegrino o Oroblu che ha presentato un’offerta per stipulare un contratto d’affitto e un contratto preliminare d’acquisto.
Secondo una fonte Cgil: «I nuovi padroni chiedono liberatoria anti-cause da chi sarà lasciato a casa»
Il ramo d’azienda da acquisire, precisa una nota del gruppo, «E’ sostanzialmente costituito dal marchio Cagi e altri marchi correlati, da macchinari ed attrezzature funzionali all’esercizio dell’attività di produzione e commercializzazione e dai rapporti di lavoro, limitatamente a 13 dipendenti». Il passaggio chiave, per i sindacati, è questo: dei 70 lavoratori, il nuovo acquirente ne assorbirebbe soltanto 13.
«E chi non dovesse essere assorbito – conferma Nicola Romano – dovrebbe firmare una liberatoria nei confronti della nuova azienda che esclude vertenze in futuro».
Il personale della Cagi è costituito da circa 70 dipendenti, di cui 68 in cassa integrazione straordinaria. Circa 15 dipendenti, spiegano i sindacati, vengono impiegati a rotazione per garantire il mantenimento dell’attività. In Cagi lavorano soprattutto donne: «Dei 70 dipendenti dello stabilimento di Motta Visconti – conclude il sindacalista Cgil – una trentina potrebbero arrivare alla pensione utilizzando gli ammortizzatori sociali, ma per i restanti quaranta, con un’età media di poco inferiore ai 50 anni, sarebbe molto difficile trovare una nuova occupazione se la procedura in corso non arriverà a buon fine».
Il gruppo Cagi, negli anni Ottanta, era arrivato ad avere circa 1500 dipendenti ed è sempre stato attiva nel settore dell’intimo e della maglieria: il 95 per cento del fatturato è costituito da intimo maschile, il restante 5 per cento da intimo femminile. In provincia di Pavia la Cagi è stata un polo industriale importantissimo: a Cilavegna negli anni d’oro lavoravano 1300 persone, poi il calo progressivo fino all’ottobre del 2008 quando lo stabilimento in Lomelliuna venne chiuso e le produzioni accorpate nello stabilimento di Motta Visconti che, ora, aspetta di essere ceduto ad un nuovo gruppo per sopravvivere.