Morire di precariato, è questo che è successo a Carmine Cerbera, docente di storia dell’arte di 50 anni e a Tore, operaio di 53 anni. Due storie che vogliamo raccontare insieme, per ricordare il crimine di chi sta togliendo anche la speranza, non solo il lavoro. Carmine e Tore sono distanti, geograficamente e culturalmente, uno docente che non ha mai smesso di studiare, l’ennesimo titolo di studio preso di recente a sue spese, l’altro ex facchino di una cooperativa che forniva lavoratori allo zuccherificio Eridania di Villasor. Ma la loro storia alla fine è diventata la stessa, schiacciati da un precariato ormai insostenibile.
Carmine Cerbera (nella foto), nonostante l’impegno, i concorsi, le graduatorie infinite, quest’anno è rimasto senza nemmeno il solito posto precario, neanche il solito contratto per il solo anno scolastico e i tre mesi estivi con il contributo di disoccupazione. A 50 anni. Quest’anno si sono chiuse anche queste porte e arrivato all’inizio di novembre, senza nemmeno una supplenza, ha scelto di non lottare più. Ma ha scelto? Dov’è la scelta in un uomo di 50 anni con moglie e due figli che ha fatto il professore di storia dell’arte per una vita ed è fuori mercato per qualsiasi altro lavoro? Carmine lo scorso venerdì ha deciso di togliersi la vita in un modo atroce, è morto dissanguato. Si è reciso di netto carotide e giugulare. Si era chiuso nel bagno di casa, la moglie ha forzato la serratura ma non ha potuto arrestare l’emorragia. Un’emorragia anche di sogni, speranze e serenità negata: Carmine a 50 anni si sentiva sconfitto, impotente, inadeguato e senza futuro, solo un peso per la famiglia.
La Federazione Lavoratori della Conoscenza, FLC CGIL ha commentato “Forse sempre tra un pianto e l’altro questi ministri dovrebbero domandarsi anche come ci può sentire a 40 o a 50 anni ad essere precari, emarginati, umiliati, logorati e consumati dall’incertezza di un domani lavorativo che con tutta probabilità non ci sarà mai più. Ma è una domanda che non si porranno mai, troppo presi a “normalizzare” e “stabilizzare” un paese con provvedimenti, che oltre che penalizzanti, appaiono addirittura “punitivi” per quasi tutte le categorie di lavoratori, dagli operai, agli imprenditori, passando per gli insegnanti.”
Ma noi il commento lo vorremmo anche dal Ministro Profumo o dal Ministro Fornero. Cosa ne pensate della disperazione di uomini precari a 50 anni?
Anche Tore a 53 anni si è tolto la vita nella sua casa, una casa alla periferia di Villasor. Non ha lasciato biglietti, ma un mucchietto di bollette non pagate, accanto. Un messaggio più che esplicito. Tore, vedovo di 53 anni e due figli di 19 e 24 anni, fino a sei anni fa conduceva una vita di normale fatica: facchino per una cooperativa che serviva lo zuccherificio Eridania di Villasor. Fino a sei anni fa, quando lo zuccherificio chiude e Tore, al tempo 47enne deve cominciare ad arrangiarsi con lavori saltuari perché a Villasor di lavoro ce n’è poco e a quasi cinquant’anni sei fuori mercato. Per un po’ ha aiutato il misero accompagnamento della moglie, una moglie colpita ancora giovane da ictus e morta tre anni fa. Dopo, il buio, rischiarato appena, ogni tanto, da qualche lavoro da muratore o stagionale nelle campagne. I figli anche loro disoccupati, in cerca e con pochi mezzi.
Così Tore il 2 novembre è tornato a casa, ha controllato e impilato tutte le bollette insolute sul tavolo, poi ha preso il vecchio fucile del padre, si è seduto e ha sparato. Tore, dicono i suoi conoscenti, era un uomo buono e mite, sempre disponibile a fare qualsiasi lavoro gli si proponesse. Ma non era sufficiente a pagare tutto, non era sufficiente a vivere e dopo anni di distruzione morale e materiale nella precarietà, e Tore non ce l’ha fatta più.